La vittoria di Marialuisa Forte al turno di ballottaggio per il Comune di Campobasso, che ha riscattato il centrosinistra dopo il tonfo termolese, ha delineato un quadro politico post elettorale in Molise. Ma qual è stata la differenza di approccio, metodo e scelte che ha portato la coalizione progressista a due risultati così diversi? Lo abbiamo chiesto all’avvocato Simone Coscia, iscritto al circolo Pd e già consigliere comunale in precedenza.
Che opinione si è fatta su questa ultima tornata elettorale per il Comune di Termoli?
«Nessuna sorpresa. E’ una evidente disfatta per l’area progressista. Lo affermo purtroppo da tempo, con questo tipo di politica neo-feudale copiato dal destra-centro non vinceremo mai. E proprio Termoli è l’emblema del disastro. Dobbiamo dire però che alle europee il Pd ha tenuto, difatti a livello regionale siamo passati dai 16 mila voti del 2019 ai 23 mila, circa 18% del 2024, con una differenza in più di 6 mila voti; a Termoli invece il dato è pressoché immutato: i voti attuali sono 2937, rispetto ai 2650 del 2019, una crescita di poco meno 300 voti. Anche se è da osservare che il nostro 18% è inferiore di sei punti percentuali rispetto alla media nazionale del 24%».
Quindi il vero disastro per il Pd è quello che si è determinato per scegliere il sindaco di via Sannitica.
«Diversamente dal comune di Campobasso che ha visto vittoriosa al secondo turno l’ottima candidata Forte dando dimostrazione di una reale capacità organizzativa e proposta politica, a Termoli, invece, i dirigenti locali e regionali hanno dato prova di totale insipienza, ai limiti del comprensibile, forse anche per la presenza di un commissariamento totalmente inadeguato».
Si spieghi meglio.
«Partiamo dai risultati elettorali e poi analizziamo i comportamenti. Nel 2019 il Pd termolese prese 1893 voti, poco più del 10%, eleggendo in sostanza tre consiglieri, mentre oggi ha preso 1.161 voti, poco meno del 7%, con uno scarto negativo di 732 voti, ed eletto solo due consiglieri, tra l’altro quelli precedenti : Vigilante e Scurti. Rispetto ai voti delle europee ci sono stati poi 1800 elettori PD che non hanno votato la lista comunale dello stesso partito. Questo prova il dissenso dei votanti progressisti rispetto alle scelte della dirigenza locale».
Quali sono, invece, i comportamenti del suo partito che non l’hanno convinta?
«In primo luogo questa situazione dimostra empiricamente che il modello “gerarchico-cooptativo” non è apprezzato dagli elettori del centro sinistra. Pensare che possa funzionare che un qualche cacicco locale, come si usa dire, individui un sindaco di suo gradimento senza dei passaggi democratici è da veri “ingenui”, per non offendere. In sostanza, i dirigenti locali del Pd e non solo, hanno invertito i fattori. Infatti, prima di discutere con cittadini ed alleati di programmi per la città hanno anteposto la candidatura di Mileti per poi rinnegarlo, come fatto dall’Apostolo Pietro, contrapponendogli la Vigilante, la quale poco prima era stata una dei suoi maggiori sponsor. In queste condizioni “kafkiane”, domando, com’era pensabile allargare il perimetro delle alleanze? ma soprattutto come si poteva aspirare ad una lista Pd competitiva? Per questo è stato messo in atto il solito “giochino”, collaudato in anni sconfitte: inserire il proprio candidato sindaco nella mini-coalizione e concentrare poi i voti su un solo capolista. Risultato: chi aveva contribuito al disastro, oggi siede tra i miracolati- eletti».
C’erano alternative migliori a suo avviso?
«Si, o quanto meno si poteva arrivare ad un risultato più dignitoso. Partendo almeno sei mesi prima, con l’effettiva partecipazione del circolo cittadino, attraverso una costruzione di un serio programma condiviso con i vari Civici i 5 stelle, Verdi-sinistra e Equità Territoriale, in modo da arrivare alla designazione del “giusto” candidato sindaco di sintesi delle varie componenti. A quel punto la campagna elettorale avrebbe avuto tutt’altra forza e il risultato sarebbe stato sicuramente migliore. Si poteva perdere certo, ma non avere questo tipo di diaspora con la candidatura di ben 5 sindaci nell’area di centro sinistra, che ha portato, di contro, il Pd termolese ad essere insignificante, 7° forza in città, i 5 stelle annichiliti, ed un consiglio comunale composto da 4 consiglieri di opposizione in meno rispetto alla precedente amministrazione. Perfino a volerlo tale disastro sarebbe stato difficile realizzarlo, eppure ci sono riusciti».
Cosa propone per il futuro del centrosinistra termolese?
«Non mi permetto di parlare per tutto il centrosinistra, ma da iscritto Pd vorrei prospettare qualche cambiamento per il futuro del mio partito. Innanzi tutto un po’ di sana autocritica da parte di questo gruppo dirigente locale, ma anche regionale, che è riuscito non tanto a perdere queste elezioni, quanto soprattutto a renderci davvero ridicoli. Inoltre, comincerei con la ricostituzione del circolo cittadino secondo le regole statutarie, con la nomina di un nuovo commissario “traghettatore”, in tempi brevi, verso una nuova e seria segreteria, promuovendo nuove iscrizioni e avviando nuove iniziative per diffondere le idee del Pd in modo da rimarcare le differenze con le politiche della destra-centro, sia locali che nazionali. Qui a Termoli il Pd ha davvero toccato il fondo, anche dal punto di vista istituzionale, considerato che neppure uno dei suoi componenti si è degnato di partecipare alla cerimonia della proclamazione degli eletti; però di buono c’è che adesso non possiamo far altro, con le giuste attività e con i giusti uomini, che risalire la china».
EB

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